MOSTRA FOTOGRAFICA “LA LUCE RACCONTA” DI FATIMA LI CAVOLI

Venerdì 13 Maggio alle ore 17:30 il Museo Regionale di Terrasini ospiterà l’inaugurazione della mostra fotografica Still Life, la luce racconta … di Fatima Li Cavoli. L’artista attraverso i suoi scatti non solo tende a trasformare l’immagine in narrazione e a trovare essenze nelle superfici giocando sull’emozionalità, ma fa anche di più: impreziosisce le sue nature morte pennellandole di luce dando vita ad opere cariche di suggestione che catturano e coinvolgono l’osservatore attraverso sottili, luminescenti fili di nostalgia.

Ogni suo scatto rintraccia morbidi e ricercati incontri tra colore e luce, che fonde liricamente spazio e tempo, risultando sempre di grande impatto. Le sue nature morte sono composizioni di rara bellezza, quasi magie che corrono dai suoi occhi agli occhi di chi guarda. Sono immagini sospese nel tempo, riappropriazione di momenti sognati, recupero di percorsi del cuore, evocazione di dimensioni lontane, ricordi impalpabili di mondi mai completamente perduti, silenzi fluidi e musicali che indagano nel profondo.

La mostra fotografica realizzata all’interno del prestigioso Museo d’Aumale aspira ad offrire suggestioni e rimandi, a suggerire intrecci di relazioni, ispirare frammenti poetici di “decodificazione della realtà” che ci circonda e che troppo spesso, travolti dai tempi accelerati del quotidiano, finiamo per non vedere o trascurare, perdendo preziose occasioni di autenticità (di cui, pure, nei nostri “luoghi” più intimi e profondi, avvertiamo il bisogno).

 

LO STILE
L’espressione inglese “Still Life” si può tradurre in italiano con “Vita Immobile”. In fotografia, indica un particolare genere fotografico utilizzato per ritrarre oggetti inanimati attraverso una specifica tecnica fotografica. In pittura, si riferisce ad una raffigurazione di oggetti inanimati (fiori, frutta, ortaggi, selvaggina, oggetti d’uso quotidiano), ciò che in italiano è definito “natura morta”. I precedenti storici risalgono al XVI secolo. Secondo gli storici dell’arte, il “Cesto di frutta” di Caravaggio, dipinto nel 1597, è il primo grande lavoro del genere della natura morta occidentale. Più avanti ci sarà utile ricordare che i due elementi della pittura di Caravaggio sono la luce e il buio che il pittore interpreta come elementi non dissonanti ma complementari. Nel secolo successivo, con le nature morte dei pittori fiamminghi, nasce il termine “stilleven”, in tedesco “stilleben”, in inglese Still Life per indicare il carattere statico, fermo degli oggetti rappresentati, in contrapposizione alla dinamicità della figura umana. La traduzione francesce “nature inaniméè” e quella italiana esprimono una valutazione riduttiva sulla scelta di temi ritenuti marginali rispetto alla grande pittura religiosa e storica. Lo Still Life si svilupperà come genere praticato principalmente da pittori minori, i quali però troveranno fortuna presso la borghesia del XIX secolo, più sensibile all’ aspetto “ornamentale” dell’arte. In quegli anni nasceva la fotografia, che per via dei limiti tecnici iniziali, fu portata a privilegiare i soggetti inanimati. Una delle prime fotografie della storia (quella di Nicéphore Niépce, nel 1827) è proprio una tavola apparecchiata con pane e vino. Ma torniamo all’oggi. Occorre precisare che la fotografia Still Life può essere di tipo tecnicodescrittivo (utilizzata soprattutto nell’e-commerce a scopi pubblicitari) ma può essere anche di tipo artistico, creativo, emozionale. Nella fine art lo Still Life acquisisce significati più profondi rispetto allo Still Life commerciale, diventa espressione personale della creatività dell’autore che sfrutta la composizione, l’illuminazione e i colori per esprimere una sensibilità, uno stato d’animo. L’immagine di Still Life in fotografia instaura un rapporto particolare dell’artista e dello spettatore con gli oggetti rappresentati, immobili e apparentemente inanimati ma capaci di trasmettere significati e di evocare sensazioni: un piano di lettura concettuale o simbolico e che aggiunga un significato ulteriore al soggetto scelto. L’obiettivo principale di questo genere fotografico, infatti, è duplice: mostrare la natura dell’oggetto raffigurato, raccontandone l’essenza e la storia tramite le sue caratteristiche (forme, colori, materia); suggerire la sensibilità dell’autore che lo ha indovinato in esso rimandi e suggestioni. Come in pittura, anche questa tecnica fotografica è praticata prevalentemente in studio. Il tipo di foto dipende molto dall’ambientazione in quanto sono il contesto e la luce che creano l’emozione. La macchina fotografia non è in grado di raccontare una storia, di emozionare, quello è il compito dell’autore. Considerato che, rispetto ad uno scatto libero, nella fotografia Still Life il soggetto è fermo (still), potrebbe sembrare che questo in genere fotografico sia più difficile commettere errori: non sono presenti soggetti in movimento e non ci sono molte variabili da dover considerare. In realtà, questo tipo di fotografia è più difficile di quello che possa sembrare. Se in altri ambiti fotografici basta cogliere il momento o il soggetto in una determinata posa, scattare una fotografia ad un oggetto fermo richiede una preparazione più accurata, non solo tecnica ma anche concettuale. Dare all’oggetto il giusto significato è il traguardo più arduo da raggiungere.

 

Fatima Li Cavoli è una grande appassionata di fotografia con la quale intrattiene da sempre una frequentazione che può definirsi “intima”. Non ha mai seguito i canonici percorsi delle scuole d’arte ma, assecondando una spiccata sensibilità personale, ha sempre maneggiato macchine fotografiche fissando scorci, volti, dettagli mai banali in scatti che si sono sempre più delineati come spazi dell’anima. Nel tempo, ha maturato numerose e stimolanti esperienze che l’hanno portata ad acquisire competenze specifiche di tutto rispetto. Da qualche anno si dedica allo Still Life (la “vita immobile” delle nature morte), studiando il contributo dei più prestigiosi maestri del settore ( Christopher Broadbent, Renato Marcialis, Harold Ross, Carlo De Nino) i quali le sono stati di ispirazione e orientamento nel suo personale percorso di creazione artistica. Con alcuni di essi ha avuto modo di coltivare un proficuo confronto, in particolare dichiara di sentirsi debitrice a Carlo De Nino che ha saputo sostenerla e guidarla nel perfezionamento delle tecniche più specialistiche che oggi padroneggia con raffinata eleganza.

 

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