Fabio Sgroi si presenta come fotografo. Negli ultimi anni, una presentazione diretta come questa è cosa abbastanza rara. Di solito siamo abituati a locuzioni “artista che usa la fotografia” oppure “alla fotografia come non specifico medium dell’esperienza artistica”. Dal 2005 lavora come fotografo al Museo d’arte moderna e contemporanea, Palazzo Riso, di Palermo. [...] In Italia vi sono stati e vi sono grandi fotografi che hanno lavorato a stretto contatto con gli artisti, collaborando con loro in maniera tanto speciale, da essere quasi integrati nell’immagine dell’opera (si pensi, ad esempio a Claudio Abate e al suo rapporto con Penone o Kounellis). Invece il lavoro “da fotografo” di Sgroi al museo è in realtà un “secondo lavoro”, un’attività complementare. Il primo lavoro sono le sue fotografie che non hanno alcuna relazione con opere altrui. Il genere da cui origina il lavoro fotografico di Sgroi è quello del reportage. A partire da questo, tuttavia, Sgroi elabora una serie di immagini che oscillano tra la testimonianza sociale e la visione panoramica di paesaggi per lo più urbani e anche di siti archeologici in gran parte siciliani. Lo spirito originario della fotografia di reportage era essenzialmente quello della testimonianza diretta e partecipe insieme al valore di conoscenza insito nell’immagine fotografica. Sgroi conserva sia l’immediatezza e la “presenza” del fotoreporter sia l’intenzione di realizzare fotografie che abbiano un valore conoscitivo. A questa sorta di etica professionale Sgroi aggiunge una grande capacità tecnica; un “effetto” che non dovrebbe mai mancare né al bravo fotografo e nemmeno all’artista che usa la fotografia. (Giovanni Iovane, Archivio S.A.C.S. 2013/14)

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Fabio Sgroi

“Marsiglia, Palermo, Belgrado”, 2001-1999-2011, n. 3 fotografie, dimensioni variabili - Courtesy dell’artista