La prematura scomparsa di Andrea Di Marco ha privato l’odierna scena artistica italiana, e siciliana in particolare, di uno dei suoi pittori più acuti. Con il suo sguardo sottile è riuscito a cogliere e rappresentare le realtà più autentiche e genuine della sua città con la sua intensità stilistica originale e coinvolgente. Di Marco realizzava dipinti su supporti stratificati che andavano dalle vecchie carte da parati alle stoffe colorate. La sua ricerca pittorica e stilistica si distingueva per la contaminazione di generi evidentemente eterogenei (incisioni sei/settecentesche, fumetti, cartoni animati, icone della cultura pop), ai quali l’artista collegava costantemente una visione della realtà restituita per frammenti, con una inconfondibile inclinazione per la prospettiva frontale, essenzialmente fotografica. Proprio la fotografia era divenuta il punto di partenza per i dipinti realizzati dal Duemila in poi, che si distinguevano per l’utilizzo di una colorazione più grassa, vigorosa e materica. Temi e soggetti raffigurati fanno parte di quell’ambito che Di Marco aveva definito «archeologia del moderno», ovvero cantoni periferici disabitati, sobborghi solitari dove si trovano vecchie botteghe, antichi casolari, edifici fatiscenti, camion, macchine, oggetti a prima vista abbandonati, impotenti e paralizzate, vestigie della modernità dove non è presente la figura umana. Queste pitture definiscono atmosfere decadenti e inquietanti, cariche di una malinconia onirica e metafisica nondimeno fortemente realistica. (Fabiola Di Maggio, Dottorato di Ricerca in Scienze del Patrimonio Culturale, 2020)
RISO - Museo d'Arte moderna e contemporanea di Palermo
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