Canzoneri
Michele Canzoneri nasce a Palermo nel 1944, città nella quale vive e lavora.
Michele Canzoneri è interessato, sin dagli esordi, al fenomeno della luce e della trasparenza che indaga attraverso l’uso del vetro e, in particolare, della tecnica di soffiarlo, appresa a Venezia grazie all’incontro con Egidio Costantini che, nella Fucina degli Angeli, realizzava le opere di Ernst, Santomaso, Picasso. Di fondamentale importanza per la sua formazione sono stati anche gli incontri negli studi di Vedova, Franchina, Pascali e Frate Celestino, quest’ultimo restauratore di codici miniati.
Frutto dei suoi interessi e delle sua formazione, agli anni Settanta risalgono i GAV, prime sperimentazioni artistiche su materiali quali il vetro e le resine. I GAV, composti da gabraster, aria e vetro, sono corpi luminosi, strutture dalle forme geometriche cave o piene – semisfere, cubi o prismi – in vetro soffiato, alle quali l’artista mescola le resine colorate, il gabester appunto, e al di sotto delle quali pone delle fonti luminose. La luce, per la refrattarietà del materiale esterno, viene trattenuta all’interno di questi oggetti, trasformando le trasparenze in iridiscenze colorate che coinvolgono percettivamente lo spettatore.
Affascinato dalla cultura orientale, Michele Canzoneri ricorda, come una delle tappe fondamentali del suo percorso di vita, l’incontro con Giuseppe Tucci, maestro di scienze dell’antichità; un incontro che, unitamente alle committenze e agli studi ad esse relativi, lo hanno portato ad una profonda conoscenza della filosofia orientale e della sua simbologia.
L’approccio operativo di Michele Canzoneri per ogni produzione artistica è fatto di studi, ricerche, progettazione in totale immersione e isolamento. Questo personale metodo di lavoro prevede anche la stesura giornaliera di un diario sul quale l’artista appunta riflessioni, schizzi, scritture, colori, trasformandolo in un’opera autonoma che continua a vivere oltre la realizzazione ultima del lavoro ed appartiene solamente a lui, all’artista,
mentre “L’opera finale già fissata nel suo spazio definitivo è altra cosa, appartiene ad altri”.
Nell’ambito della produzione artistica di Michele Canzoneri, è stata intensa anche l’attività che ha svolto come scenografo e che si è avvantaggiata di una particolare sensibilità, affinata dalla conoscenza della partitura e della scrittura musicale, appresa da giovane attraverso gli incontri con Sylvano Bussotti e Salvatore Sciarrino.
Anche in questo caso, come per l’intero corpus delle sue opere, ogni lavoro è generato da un tempo lungo, fatto di riflessioni, disegni, appunti, descrizioni, secondo quello che è il suo personale “fare” artistico che, comunque, ha sempre al centro la materia: carte, vetri, resine, pigmenti. Materia che nel corso della sua lunga carriera Michele Canzoneri ha profondamente conosciuto e sperimentato, plasmandola, modellandola, piegandola variamente ad un linguaggio contemporaneo, rendendola flessibile alle proprie necessità creative E ciò in virtù delle estrema padronanza delle tecniche utilizzate, tecniche che affondano le radici nel passato e diventano strumento per veicolare una sensibilità artistica interprete del presente.
Rapito dal loro fascino, Michele Canzoneri, nel corso dei suoi numerosi viaggi in Italia e all’estero, cerca, ritrova, colleziona, seleziona accuratamente carte antiche, libri logorati dall’uso e dal tempo, scritti in tutte le lingue, che poi divengono materia dei suoi interventi. Carte e libri che immerge nel colore, accumula e stratifica come si stratificano, nel tempo della memoria individuale e collettiva, gli eventi e il passato. Su quei fogli – ritoccati, disegnati, talvolta apparentemente oscurati dai suoi interventi, in realtà salvati dall’abbandono, dal macero, dalla perdita definitiva – pensieri, frasi, scritti anonimi vengono cristallizzati una volta per tutte dall’azione dell’artista, ri-generati nel mondo dell’arte, eternizzati.
Al pari delle cancellature di Emilio Isgrò, quelle parole vengono liberate per sempre anche dal peso del loro significato, salvate dall’oblio del tempo e, in questa operazione fortemente simbolica ed evocativa, Michele Canzoneri
evidenzia calligrafie e antiche scritture, fissandole per sempre nel loro accumularsi oggettuale, in una bidimensionalità apparente, che si fa volume, spessore, installazione. Sculture oggettuali, dunque, modulate dalle luce e dai colori e che assumono valore archetipale.
Per questo Michele Canzoneri si definisce “chirurgo di fogli antichi”; lavora su carte scritte segnate già dal tempo, come su un “negativo fotografico”. E come un “chirurgo” interviene sull’opera Konvolut, del 1994/2010, donata dall’artista al Museo, per arricchire la collezione permanente con un lavoro legato all’attività espositiva del Riso, in quanto esposto nella mostra “CANZONERI. Rosso porpora rosso scarlatto” (5 ottobre 2016 – 31 gennaio 2017), curata da Bruno Corà.
Il termine “Konvolut”, che dà titolo ad una serie di lavori, viene tratto dall’artista da un testo di Salvatore Settis sul papiro di Artemidoro, in riferimento ai frammetti di rotolo in papiro e alle carte antiche incollate, ritrovate intorno alle mummie.
L’opera, realizzata con tecnica mista su carta antica, testimonia la personalissima ricerca artistica di Michele Canzoneri, che utilizza come materia, anche per questo lavoro, le pagine antiche di alcuni volumi e, attraverso procedure di immersione nel colore, di stratificazione compositiva, di accostamento, crea la trama compositiva di un lavoro che si fa corpo, rilievo. L’intervento creativo volutamente nasconde il significato delle parole contenute, per trasformare quelle pagine in emblemi di un passato antropologico e culturale, brandelli di storie legata all’uomo e alle sue civiltà, rinate a nuova vita. Una “Koinè assemblativa”, come la definisce il curatore Bruno Corà nel testo del catalogo, “che, a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo e sino a oggi, ha avuto esponenti di rango come Burri, Nevelson, Rauschenberg, Arman..”.
L’artista interviene calibrando l’assemblarsi dei fogli in blocchi, modula il loro disporsi anche il relazione al colore in cui precedentemente li ha immersi, ne caratterizza alcuni con il ritmo delle sue pennellate e dei suoi segni minuti, marca gli intervalli lasciando intravedere al di sotto del primo i numerosi altri fogli che si stratificano, come a sottolineare l’oblio e l’indecifrabilità di quelle pagine scritte che, comunque, tornano a vivere come tessere di mosaici del presente e della nostra contemporaneità, pur se tragica, come ben testimoniano i più recenti “Konvolut” dedicati alla città di Gaza.
Gaza, Damasco, Palmira, Aleppo, Ebla, Gerusalemme, terre di antiche e sepolte civiltà, ma anche luoghi di tragedie attuali, luoghi sui quali l’artista posa il suo sguardo attento e partecipato, riuscendo a ricomporre, almeno nel territorio dell’arte, sotto forma di armonia e bellezza, le ferite e le atrocità del presente, sottraendole al silenzio, con spirito critico e di denuncia, non urlata, ma forse anche per questo più penetrante.
Tutta la ricerca artistica di Michele Canzoneri si è sempre caratterizzata, pur nella varietà delle tematiche, dei registri e delle tecniche – disegno, scultura, architettura, scenografie – per la cura e l’attenzione massima con cui affronta la fase riflessiva e progettuale, preparatoria dell’opera ma dall’analoga valenza estetica.
La sua lunga e intensa attività artistica vanta committenze pubbliche e private di rilievo. Ha collaborato, in Italia e all’estero, con architetti, registi, scrittori, filosofi e compositori. Ricordiamo, tra le più significative esperienze, la realizzazione dell’Evangelario (1984-1987), delle vetrate del Duomo di Cefalù (1984-2003); la mostra Il muro del tempo nella cripta della Cappella Palatina del Palazzo Reale di Palermo (1992); i seminari presso le Accademie di Aleppo e Damasco (2003); le opere per la Basilica di Renzo Piano a San Giovanni Rotondo (2006); il Cenacolo francescano di Monte Sion a Gerusalemme (2012-2015). Nell’ambito del teatro musicale: Blaubart di Togni, Fenice, Venezia (1977); Parsifal di Wagner, Teatro Comunale, Bologna (1978); Collage 4 di Clementi, Maggio Musicale Fiorentino (1981); La clemenza di Tito di Mozart (1981) e Maria de Buenos Aires di Piazzolla (1999), Teatro Massimo, Palermo; Norma di Bellini, coproduzione Teatro Bellini, Catania e Landesteather, Salisburgo (2000); Premio Abbiati come migliore scenografo del 2000; Dialogues des carmèlites di Poulenc, StaatsOper, Stoccarda (2012).
Rosaria Raffaele Addamo