Accardi
Carla Accardi, Trapani 1924 – Roma 2014
La ricerca artistica di Carla Accardi, dopo la formazione in Sicilia, prende avvio a Roma nel clima di generale rinnovamento delle arti nell’Italia del secondo dopoguerra. Nel 1947 l’artista, unica donna del gruppo, firma il manifesto “Forma 1” insieme, tra gli altri, a Pietro Consagra, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato, Piero Dorazio, con i quali sostiene la necessità di adeguare l’arte italiana ai linguaggi europei coniugando impegno politico e ricerca astratta e con i quali espone i suoi primi lavori caratterizzati da scomposizioni geometriche di forme e colori. A partire dal 1953, anno considerato fondamentale dalla stessa artista, inizia a dipingere poggiando le tele per terra, concentrando l’energia del fare pittorico, voce dell’inconscio, in un segno lineare, spontaneo ma controllato, radicalizzato nel contrasto del bianco e del nero, della luce e del buio, secondo una declinazione segnica che l’avvicina all’arte informale.
Appartengono a questa fase le opere Diversi grigi e Materico su grigio, entrambe del 1954.
In Diversi Grigi (recentemente esposta nella mostra “CARLA ACCARDI segno e trasparenza” 6 febbraio – 12 giugno 2011, curata da Massimo Berbero presso la Fondazione Puglisi Cosentino di Catania, Palazzo Valle) segni bianchi, grigi e neri si intrecciano, si aggrovigliano, si sovrappongono, ora più spessi, ora più sottili, sostanziandosi nel relazionarsi tra di loro e con il fondo della tela, dove, qua e là, si insinuano alcuni tratti di colore ocra. Analoga la grammatica segnica in Materico su grigio, opera nella quale i segni di colore bianco, tracciati con una pennellata materia, si oppongono e si compongono sul fondo grigio scuro della tela. Ogni segno pittorico diventa elemento primigenio, morfema di un nuova scrittura visiva, singola individualità che si struttura in relazione agli altri segni, trovando di volta in volta proprie regole compositive, nell’intento dichiarato di “rappresentare l’impulso vitale che è nel mondo”.
Il colore, tornato a riaffiorare nelle opere di Carla Accardi dalla fine degli anni Cinquanta nei dipinti cosiddetti “a settori”, diventa preponderante nelle opere realizzate a partire dagli anni Sessanta. Segni-colore si affollano sulle tele come minuta grafia, scelti per il loro valore fluorescente e luminescente, come a cercare un coinvolgimento percettivo, ipnotico con l’osservatore. E la ricerca di una luminosità sempre maggiore e di una continuità con lo spazio e l’ambiente trova in questi anni piena espressione nell’uso della plastica trasparente, il sicofoil, come supporto.
Nelle due opere del 1964, entrambe intitolate Rotolo, sinuose svirgolature monocrome di colore rosa vibrano accostandosi in diagonale sui fogli in sicofoil e, poiché questi possono variamente arrotolarsi su se stessi, i segni si sovrappongono e si stratificano luminosi in trasparenza. Questi lavori acquistano qualità tridimensionale e volumetrica, divenendo estensione ambientale e installativa della poetica del segno; l’osservatore può girarvi intorno, in seguito, potrà percorrere e attraversare gli spazi abitativi delle opere Tenda, 1965-66 o Triplice tenda, 1969-71, opere aperte, vibranti nelle quali si annulla la dicotomia tra pittura e architettura.
La luminosità e la trasparenza caratterizza anche l’opera Rosso verde del 1967. Il sicofoil, usato come supporto in questa e in altre opere analoghe degli anni Settanta, accoglie l’energia di colori affiancati in base alla loro forza e alla capacità di emanazione luminosa che deriva dal loro accostarsi. Anche qui, come nei rotoli, minuti segni-colore si integrano in una tessitura lucente che si dispone in riquadri sugli strati trasparenti del sicofoil, lungo direttrici determinate dall’apparire del sottostante telaio.
Abbandonato il quadro tradizionale e la tempera alla caseina, il sicofoil e l’acrilico fluorescente testimoniano di una ricerca ancora una volta al passo con lo “spirito del tempo”. Si tratta, infatti, di sostanze artificiali prodotte di una società industriale in pieno sviluppo, rese “calde” dall’intervento l’artista che in esse riversa il proprio universo emotivo.
Dalla fine degli anni Settanta la ricerca di fluidità con l’ambiente circostante, l’andare oltre il limite della tela, trova espressione in alcune installazioni dove il colore definisce cornici e telai di varia sagomatura che si dispongono in geometrie alle pareti o si accumulano in cataste per terra. L’uso del telaio sembra anticipare il ritorno alla tela che caratterizza le opere realizzate a partire dagli anni Ottanta con stesure segniche disposte in grovigli corposi, complessi, dai colori contrastanti, che lasciano integre ampie porzioni di tela grezza. Memori dei lavori degli anni passati, ma concentrati su poche singolarità segniche gli ultimi lavori realizzati tra il 2005 e il 2011, nei quali l’artista continua a rinnovare e rielaborare la sua ricerca sul segno e sul colore.
Rosaria Raffaele Addamo