De Grandi
Francesco De Grandi, nato a Palermo nel 1968, dove vive e lavora.
L’artista palermitano Francesco De Grandi inizia la sua attività partecipando ad una collettiva nel 1993, all’età di venticinque anni. Inserito dalla critica nel “gruppo dei quattro” (insieme a Bazan, Di Marco e Di Piazza), si inscrive a pieno titolo nel panorama della rinascita pittorica palermitana che ha caratterizzato il decennio degli anni Novanta, anche se in realtà nelle opere del gruppo il milieu culturale di provenienza costituisce semplicemente un background e non materia prima di ispirazione o di lavoro artistico.
Nell’arco della sua trentennale attività ha esposto i suoi lavori in contesti prestigiosi, sia pubblici che privati, dal Palazzo della Farnesina al Centro Pecci di Prato, dal Palazzo Ducale di Lucca al MAXXI di Roma, imponendosi come uno degli interpreti più sensibili e rappresentativi dell’arte italiana del XXI secolo. Significativa presenza nella scena artistica milanese, nell’ultimo decennio ha partecipato a collettive allestite nei luoghi cittadini di maggiore interesse per la sperimentazione e storicizzazione contemporanea: Triennale, Palazzo della Permanente, Palazzo Reale e Padiglione d’Arte Contemporanea.
Invitato alla XV Quadriennale, nel 2011 ha presentato le sue opere all’Italian Cultural Institute di San Francisco, al Kaohsiung Museum of Fine Arts di Taiwan e al Padiglione Italiano dell’Expo di Shangai, città nella quale l’anno prima, presso la Ayke Gallery, ha allestito la personale “RU MI”. Al 2011 risalgono anche due prestigiose personali palermitane, la prima al Museo d’arte moderna e contemporanea di Palazzo Belmonte Riso, la seconda alla Galleria d’Arte Moderna.
Il percorso visivo di De Grandi si muove dall’esordio nel segno di un’alterazione semantica e mimica che ricorda le inquietanti dissoluzioni formali di un Bacon e certe sperimentazioni della body art, ma progressivamente la sua ricerca si indirizza verso l’individuazione di un personale linguaggio figurativo, riconoscibile nella matrice visionaria, nei paesaggi derealizzati come in una post atomic land, sempre in bilico tra iperrealismo e trasfigurazione fantastica (Galletta, 2001). Ad osservare i suoi lavori, come conferma anche questo Senza titolo, spesso ci si imbatte in paesaggi immaginari abitati da mute forme viventi (si è fatto più volte il riferimento a Friedrich), che ci interrogano, come evocate da uno spazio e da un tempo non più catalogabili: anche qui la figura non si dà mai nella sua interezza, ma è sempre colta solo per due terzi, a sottolineare un disarmonico e mai compiuto rapporto col contesto che la accoglie. Che sia uno sguardo infantile o quello di una strana creatura mutante, frutto di chissà quale stravolgimento genetico, la pittura azzera l’ambito della visione, riportandoci ad una specie di continuo inizio della storia del pianeta. L’arte può creare ma anche continuamente ricreare. Permane la forza della pittura – che non rimanda ad altro che a se stessa, sia chiaro – la possibilità ultima di un’altra visione, sia pure precipitata nel baratro di un girone infernale. Nell’opera di De Grandi, al di là di ogni richiamo, non ci sono metafore, ma solo l’ansia di una pittura che dichiara la sua incapacità ad essere altro da se stessa, puro linguaggio, racconto muto, testimonianza dell’esserci qui e ora, campo di tensione apparente tra il guardare e il guardarsi, oggetto ansioso nel suo sfacciato attaccamento alla materia, al gesto, al rinnovato credere nel codice espressivo e nei suoi segni.
Fabio De Chirico