Kounellis
Jannis Kounellis – Pireo (Atene), 23 marzo 1936 – Roma, 16 febbraio 2017
Trasferitosi a Roma nel 1957, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti nel 1960 organizza la sua prima personale alla Galleria la Tartaruga , esponendo, attratto dalle poetiche Pop e dal repertorio semantico che alimentava in quegli anni la scuola di Piazza del Popolo, tele con segni tipografici ingranditi, numeri, frecce, simboli.
Attorno al 1963 abbandona il medium pittorico ed inizia ad indagare nuovi linguaggi basati sull’uso di materiali “primitivi” quali il legno, il piombo, i sacchi di juta, i semi di caffè, il carbone: sarà il viatico indispensabile al traghettamento verso i lidi di quella che Germano Celant chiamerà “Arte Povera”. Ne diverrà uno dei principali protagonisti assieme a. Richard Long, Michelangelo Pistoletto, Luciano Fabro, Mario Merz, Alighiero Boetti e tanti altri.
Ha partecipato alle più importanti rassegne internazionali fra cui le Biennali di Venezia comprese fra gli anni 1972-1984 e quelle del 1988 e 1993.
L’esigenza di affrancarsi da qualsiasi tecnica “storicizzata” ed il proposito di far entrare la quotidianità nei templi destinati all’arte, lo porterà a superare come spazialità di riferimento la parete verticale e ad andare oltre il semplice utilizzo dei materiali inerti od organici per inserire nelle opere, che tendono col tempo ad assumere dimensioni sempre maggiori, persone, animali vivi e piante vere: tra gli anni 1967-1969, infatti, la riflessione sul rapporto arte-natura farà includere nelle opere cactus, un pappagallo e addirittura, nella galleria–garage l’Attico di Fabio Sargentini a Roma, ben dodici cavalli. Tra gli anni 1970-1973 coinvolge musicisti e ballerine a formare veri e propri “quadri viventi” .
E’ con la scenografia del dramma di Heiner Muller, Mauser, rappresentato a Berlino nel 1991, che l’artista propone per la prima volta, nel suo pur vasto reportorio segnico, una mezza dozzina di vecchi armadi sospesi in aria.
Nel 1993 all’Albergo delle Povere di Palermo elabora ulteriormente quel linguaggio che contraddice la sua cultura egea sulla distribuzione verticale dei pesi e presenta, in un ambiente assolutamente vuoto, quella teoria di armadi sospesi a soffitto, Senza titolo, riproposta appositamente come site specific installation negli spazi di Palazzo Belmonte Riso. Nella silenziosa levitazione capace di sconvolgere le leggi gravitazionali, i reperti, con le ante casualmente aperte, esprimono uno spazio dalla babelica ritmicità capace di far rivivere, fisicizzandole, le fughe prospettiche virtuali dei quadraturisti barocchi e rococò.
Per l’artista lo spazio espositivo non è soltanto un contenitore passivo, ma stimolo per l’elaborazione delle opere che nascono anche in loro funzione (Capodimonte a Napoli, Palazzo reale a Praga, Albergo delle Povere e Palazzo Belmonte Riso a Palermo e altri).
Di recente l’attenzione si è spostata dallo spazio fisico a quello temporale: dal rapporto tra presente e passato è nata una nuova produzione basata sulla rivisitazione dei capolavori storicizzati captando dal mondo classico e mitologico tra cui il David con la testa di Golia di Caravaggio.
Francesco Andolina