Samonà

Mario Pupino Samonà nasce a Palermo nel 1925, dove muore nel 2007.

Lasciati gli studi universitari a un passo dalla Laurea in Giurisprudenza, dopo numerosi viaggi nella capitale e a Venezia, dal 1949 Pupino Samonà si trasferisce definitivamente a Roma, entrando in contatto con gli artisti astrattisti presenti in città, Dorazio, Perilli, Sanfilippo, Turcato e, in particolare, con Cagli e Balla, punti di riferimento in termini di attenzione ai temi del movimento, dell’energia, del cosmo.

Nel 1950, anno della sua prima personale alla Galleria La Cassapanca di Roma, avvia quella personalissima ricerca sulla pittura “a spruzzo” con il nebulizzatore che caratterizza l’intero suo percorso artistico, coniugandosi, a partire dal 1956, ad una svolta “cosmologica” che lo porta a dipingere figure astrali e ad analizzare fenomeni chimico-fisici correlati alle trasformazioni dell’energia.

Tre sono le opere dell’artista entrate a far parte della collezione permanente del Museo grazie alla donazione da parte degli eredi dell’artista: Senza titolo – Sole Nero del 1958, Energia (Esplosione), del 1965 e Spazi con fessura del 1989.

Le prime due opere appartengono alla fase di consolidamento del linguaggio artistico di Pupino Samonà, nel quale si ibridano il dinamismo di stampo futurista con le teorie dell’astrofisica e della chimica. Esse si collocano, inoltre, in un periodo di fervida attività espositiva che vede l’artista presente in numerose mostre in Italia e all’estero, sia collettive sia personali.

Le due opere esemplificano la tensione filosofica di Pupino Samonà, concentrato nell’affrontare e restituire in termini pittorici, intuitivi, i grandi quesiti della scienza, le relazioni tra microcosmo e macrocosmo, il movimento della luce e le dinamiche spazio temporali, ma sempre trasfigurati in una dimensione intima, interiore, onirica.

Nell’opera Energia (Esplosione) i sottili giochi tonali della tempera gialla sulla tela, grazie all’utilizzo dell’aereografo che nebulizza il colore, creano un alone indefinito, sfumato, sfuggente che emana e si protende al di là del disco solare, simbolo cosmico per eccellenza.

Analoga la genesi di Senza titolo – Sole Nero anche se, al posto dell’esplosione trionfante dell’energia solare, è qui rappresentata una eclissi, soggetto caro all’artista, in quanto “presenza” generata da un’apparente “assenza”, da un occultamento. La nebulizzazione della tempera, giocata sui toni del nero, conferisce all’opera analogo valore di lirica ed evocativa apparizione.

La terza opera donata, Spazi con fessura del 1989, appartiene al ciclo delle fessure, iniziate dall’artista a partire dagli anni Settanta e concentrate sulla possibile lettura di un altro dei tanti aspetti dell’universo che attraggono la curiosità e l’interesse dell’artista: i campi di energia submolecore che, incontrandosi, danno luogo a fratturazioni misteriose. L’opera, dunque, testimonia da un lato la continuità creativa di Samonà che ha saputo mantenere costante la capacità di decantazione lirica ed evocativa del suo mondo pittorico, dall’altro la sua capacità di rinnovarsi e variare i dati immaginativi e simbolici, in relazione al variare dei dati scientifici di riferimento.

Così, l’opera diviene emblema di una ricerca e di una personalità silenziosa e introspettiva, comunque focalizzata sui dati della materia e sull’universo astrale, frutto dei suo studi di chimica e di fisica, sintesi di fare artistico e riflessione scientifica.

Anche quest’opera, come le precedenti, esprime quel profondo senso della luce e dell’energia che hanno sempre interessato l’artista il quale, proprio per questo, ha amato definirsi “paesaggista” del cosmo.

Il segno pittorico, come suggerisce il titolo stesso dell’opera, concretizza quel desiderio di rinnovata spazialità, memore delle azioni di Lucio Fontana, riuscendo a materializzare sul supporto bidimensionale della tela un frammento di spazio e di tempo evocativi di profondità abissali.

L’attività pittorica di Pupino Samonà è stata sempre affiancata da un’intensa produzione grafica, a partire dai primi disegni degli anni Cinquanta, rigorosamente in bianco e nero.

In essi è possibile rintracciare quel processo di riduzione segnica – operato negli stessi anni da numerosi artisti nell’immediato secondo dopoguerra, basti pensare ai lavori di Carla Accardi (Diversi grigi e Materico su grigio, entrambi del 1954) presenti nella collezione del Museo Riso – che lo porterà, da autodidatta, alla maturazione di un personale, decantato linguaggio pittorico non figurativo che ha poi caratterizzato l’intero suo percorso creativo.

Frammenti figurativi, tuttavia, come tracce residuali di una umanità perduta e ritrovata, sono presenti nel Monumento italiano Auschwitz, progettato da Pupino Samonà insieme allo Studio di Architettura BBPR -Banfi, Belgioioso, Peressutti, Rogers – per l’Associazione di ex deportati ANED e allestita nel 1979 nel Blocco 21 del Lager di Auschwitz, in memoria delle vittime italiane. L’opera, che può essere definita corale anche perché ispirata al testo “Il visitatore” di Primo Levi e accompagnata dalle musiche di Luigi Nono, alterna nelle 23 strisce che la compongono, disponendosi con andamento elicoidale per oltre 600 mq, pieni e vuoti, luce ed energia, linee simboliche di colore rosso nero, giallo e i ritratti dei protagonisti della storia italiana di quegli anni, dando testimonianza anche dell’impegno politico e sociale e dell’artista.

Nel 2005 la Presidenza del Consiglio dei Ministri gli conferisce il “Premio speciale per la cultura” per la sezione Arte.

Rosaria Raffaele Addamo